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Ragadi al seno: una questione di corretta educazione all’allattamento

Aggiornamento: 25 mar 2021


Le ragadi sono piccole ulcerazioni, a forma di fessura, della cute o delle mucose. Si presentano in zone anatomiche particolarmente predisposte, dove la cute tende a formare pieghe (agli angoli della bocca, nei solchi interdigitali, tra le grandi e le piccole labbra vulvari) o in zone sottoposte a microtraumi come la cute dell’ano e, appunto, il capezzolo durante l’allattamento. I fattori che contribuiscono alla loro formazione sono molteplici: la causa scatenante è per lo più di natura meccanica, su cui si innescano poi fatti infiammatori, dismetabolici e circolatori.





Le ragadi al seno

Le ragadi al seno sono abrasioni o piccole fissazioni superficiali del capezzolo e dell’areola, molto dolorose. Generalmente insorgono due o tre giorni dopo il parto. Si stima che l’80-90% delle donne che allattano sperimenta dolenzia dei capezzoli. Durante la poppata, tuttavia, il fastidio tende a scomparire e con il passare dei giorni e delle settimane non si ripresenta più. Nel 20% dei casi i capezzoli continuano a bruciare e il dolore diventa più intenso: se ciò accade, ci troviamo con grande probabilità in presenza di ragadi. Sebbene alcuni autori sostengano che anche una normale suzione possa indurre danno ed infiammazione dei capezzoli e che, quindi, l’insorgenza delle ragadi in donne costituzionalmente predisposte sia inevitabile, molti studi sembrano invece dimostrare che, nella grande maggioranza dei casi, causa delle ragadi è la non corretta posizione del lattante quando si attacca al seno. Altre cause possono essere un ingorgo di latte durante le prime fasi della montata lattea o, al contrario, la scarsità di latte. Entrambi i fattori, infatti, obbligano il lattante a poppate più energiche e più frequenti con conseguente microtrauma della parte. Talora l’insorgenza delle ragadi è da ricercarsi in ragioni anatomiche: il capezzolo piatto o invertito della madre o il frenulo linguale troppo spesso o troppo corto (anchiloglossia) del neonato (alterazione abbastanza frequente che coinvolge il 3-5% dei neonati).

Prevenzione

Poiché, dunque, nella maggior parte dei casi le ragadi vedono come causa d'origine l'errato posizionamento e attaccamento del neonato alla mammella, la puerpera dovrebbe essere educata ad alcuni accorgimenti per un allattamento corretto ed efficace.

La posizione

Durante l’allattamento si possono assumere diverse posizioni, tutte ugualmente adeguate, purché soggettivamente comode e rilassate. Se si allatta da sedute, la schiena deve essere in una posizione confortevole, magari sostenuta da un cuscino per evitare contratture muscolari. La mammella deve essere ben esposta; la pancia del neonato contro la pancia della madre e la testa avvolta e sorretta dal braccio materno. Una mano può restare libera per dare forma al seno ed indirizzare la mammella verso il bambino. La posizione sdraiata di lato, per mamme più esperte, è molto comoda e pratica durante la notte e in caso di puerpere cesarizzate, in quanto il bimbo adagiato a fianco della madre non preme sull’addome.

L’attacco e la suzione

Le labbra del bimbo devono appoggiarsi al capezzolo o all’areola, allo scopo di attivare il riflesso di suzione. Quando il neonato è portato alla mammella, il naso deve toccare o trovarsi vicino al capezzolo in modo che, quando aprirà la bocca, la parte dell’areola vicina alla gengiva inferiore entri per prima nella bocca. Durante la poppata la bocca deve essere ben aperta e coprire quasi completamente l’areola; la lingua deve essere posta sopra l’arcata gengivale inferiore; il labbro inferiore deve essere rovesciato all’esterno; il mento deve toccare la mammella e la guancia risultare gonfia e tonda. Il naso deve essere libero, in modo che il lattante possa respirare durante la suzione. La poppata non dovrebbe avere una durata superiore a 25-30 minuti, per evitare che il capezzolo si irriti o che il bimbo succhi a vuoto. In caso di ragadi sanguinanti, è possibile che il neonato ingerisca un po’ di sangue. Questa evenienza non deve preoccupare, in quanto il sangue viene assimilato assieme al latte materno e non crea alcun problema. Se si nota difficoltà nell’attacco o nella suzione, occorre verificare l’eventuale presenza di difetti anatomici della lingua come, ad esempio, il frenulo corto. In alcuni casi, questo difetto congenito si accompagna con alcuni segni caratteristici: lingua incurvata in basso con difficoltà di estensione oltre la gengiva inferiore o con presenza di un evidente solco centrale (a forma di cuore) sia a riposo che in estensione. Altre volte, forme più lievi di frenulo corto non sono così evidenti da essere diagnosticabili dalla madre. Pertanto, di fronte al sospetto di frenulo corto, soprattutto in caso di familiarità, è necessario rivolgersi al medico di fiducia.

L’igiene

I capezzoli devono asciugarsi completamente prima di rivestirsi, devono essere mantenuti puliti con acqua del rubinetto, senza usare né saponi (rendono secca la pelle) né salviette umidificate (le fibre di cui sono composte possono essere ingerite dal lattante con conseguenti problemi intestinali). Al termine della poppata, il piccolo si staccherà spontaneamente dal seno; se è necessario allontanarlo anzitempo, per evitare un distaccamento brusco si può interporre un dito tra l’angolo della bocca e la mammella in modo da diminuire la pressione negativa che si instaura durante la suzione, e spingere poi il seno, dolcemente, verso il basso.

L’ingorgo

L’ingorgo mammario può insorge tra il 3° e il 5° giorno di allattamento. Va distinto dall’ingorgo fisiologico legato alla montata lattea. Nel caso di ingorgo mammario patologico, la mammella è più grossa e dolorosa, con aree lucenti ed arrossate. Può presentarsi febbre e malessere. I capezzoli diventano piatti e dolenti e il latte esce con difficoltà. Le cause sono riconducibili al ritardo nell’inizio della lattazione, ad un allattamento poco frequente ed irregolare, alla assunzione di cibi complementari, a scarsa forza nella suzione da parte del lattante. Per evitare l’ingorgo, si raccomanda di iniziare l’allattamento il più presto possibile e di allattare regolarmente, almeno 8-12 volte nell’arco delle 24 ore nei primi giorni dopo il parto. Se la madre non può allattare, la mammella deve essere svuotata manualmente o meccanicamente. Sono da evitare cibi aggiuntivi.

Complicanze

Le ragadi sono una porta d’accesso per batteri e funghi. L’infezione batterica più frequente è quella da stafilococco aureo. Alcuni studi riferiscono che più della metà delle donne affette da ragadi contrae un’infezione da stafilococco; di queste, il 25% incorre in una mastite se non trattata con terapia antibiotica. Pertanto, su capezzoli con abrasioni, ulcerazioni, fessurazioni, anche in assenza di essudato giallo o di croste, va eseguito un esame colturale per accertare la presenza di germi patogeni. Il capezzolo sede di infezione batterica si presenta arrossato, lucente e molto dolente. Possono presentarsi sulle ferite essudato giallo o croste. Altra causa frequente di infezione è la Candida. Il fungo si instaura più facilmente sul tessuto traumatizzato, ma talora può essere già presente ed essere esso stesso la causa delle ragadi. I capezzoli umidi di latte favoriscono l’istaurarsi del microorganismo. La Candida è caratterizzata da prurito, bruciore, fitte dolorose che persistono anche dopo l’allattamento. Il neonato spesso presenta il “mughetto” che si manifesta con caratteristiche aree bianche spesse ed irregolari e, dunque, trasmette il fungo al capezzolo. Talora, questa trasmissione avviene anche se il neonato non presenta sintomi manifesti.

Terapia

In presenza di ragadi si consigliano alcuni accorgimenti tesi a ridurre il dolore:

  1. iniziare ad allattare con la mammella meno colpita e dolente

  2. alternare le posizioni per diminuire la pressione sulle aree doloranti e i tessuti danneggiati;

  3. spremere il capezzolo in modo da far uscire un po’ di latte sì da stimolare il riflesso di lattazione, evitando l’azione di suzione troppo vigorosa del lattante;

  4. offrire al neonato poppate brevi e frequenti, per incoraggiarlo a succhiare con minor forza;

- al bisogno, ricorrere ad analgesici a base di paracetamolo. Al fine di accelerare la guarigione, si propongono due opzioni ‘opposte’ di trattamento locale: tenere la ferita asciutta oppure idratarla. Nei decenni passati, dominava la dry wound healing. I suoi sostenitori consigliavano di tenere la parte il più possibile asciutta, di esporre i capezzoli e la mammella alla luce e al sole e, se necessario, di asciugare la parte addirittura con il phon. Recentemente, poiché sembra accertato che il processo di guarigione degli strati più interni dell’epidermide esposta al trauma sia favorito dall’idratazione del tessuto, si consiglia la moist wound healing. Si suggerisce pertanto, per tener umido il capezzolo, l’uso del latte materno, di garze imbevute con acqua calda, di creme contenenti vitamine, corticosteroidi, lanolina o olii. Molti studi hanno mostrato, tuttavia, che questi presidi non portano alcun miglioramento nel processo di guarigione rispetto ad un corretto allattamento. L’uso di garze imbevute di acqua calda, in assenza di infezioni fungine, grazie all’azione vasodilatatrice sulla parte, può alleviare il dolore. La comparsa delle ragadi al seno non deve far sospendere l'allattamento, dal momento che tendono alla guarigione spontanea, una volta rimosse le cause. Solo in caso di ragadi sanguinanti è opportuno prendere in considerazione una sospensione temporanea dell’allattamento e ricorrere, per favorire la cicatrizzazione, all’uso di farmaci cicatrizzanti ed antibatterici.


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